Infedeltà coniugale e privacy: può essere provata violando la riservatezza del coniuge?
Infedeltà coniugale e privacy: può essere provata violando la riservatezza del coniuge?
Dopo una lunga evoluzione storica del concetto di fedeltà coniugale, ad oggi questa può essere definita come l’“impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, avvicinandosi la nozione di fedeltà coniugale a quella di lealtà, la quale impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune” (Cass. civ., sez. I, 11.06.2008, n. 1557).
Prove di infedeltà coniugale: cosa accade se violano la privacy?
Cosa accade quando la violazione dell’obbligo di fedeltà viene scoperta attraverso la consultazione di chat private, e-mail o informazioni condivise sui social network?
La giurisprudenza si è recentemente espressa a riguardo, affermando che l’infedeltà coniugale può essere provata attraverso:
- SMS conservati nel cellulare di uno dei coniugi,
- Immagini e informazioni condivise su Facebook,
- Chat di WhatsApp e altri social network.
Questi elementi sono considerati prove meccaniche, disciplinate dall’art. 2712 del codice civile, che possono essere liberamente valutate dal giudice se legittimamente acquisite.
Prove meccaniche acquisite in modo illecito: sono ammissibili?
Le prove meccaniche sono ammissibili in giudizio solo se acquisite in modo lecito. Sono considerati illeciti i metodi come:
- Accesso abusivo a un sistema informatico o telematico,
- Installazione di telecamere o registratori nel domicilio dei coniugi.
Questi comportamenti configurano reati come lo spionaggio informatico o l’intrusione nella privacy. Tuttavia, per quanto riguarda il pedinamento da parte di investigatori privati, la relazione investigativa rientra tra le prove atipiche. Queste hanno valore indiziario e sono liberamente valutabili dai giudici ai sensi dell’art. 116 c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 14.02.2024, n. 4038).
Inutilizzabilità delle prove illecite: cosa prevede il codice civile?
Nel codice di procedura civile non esiste una norma che sancisca l’inutilizzabilità delle prove acquisite illecitamente, come invece previsto dal codice di procedura penale all’art. 191.
Nel 2016, la giurisprudenza ha stabilito che:
- Le prove illecite non sono ammissibili in giudizio, poiché acquisite tramite la commissione di un reato.
- Permettere ai giudici di acquisirle sarebbe contrario ai principi etico-civili e giuridici.
Prove illecite ammissibili? L’evoluzione giurisprudenziale
Attualmente, la maggior parte degli interpreti ritiene che le prove illecite siano ammissibili in giudizio, evidenziando:
- L’assenza di una norma esplicita sull’inutilizzabilità,
- La possibilità di utilizzare documenti ottenuti in modo illecito, pur riconoscendo la responsabilità civile e penale di chi li ha acquisiti.
Infedeltà coniugale e privacy: il bilanciamento dei diritti
La questione delle prove illecite richiede un delicato bilanciamento tra:
- Il diritto di difesa, che giustifica la produzione di prove in giudizio;
- Il diritto alla riservatezza del coniuge, che tutela la sfera privata.
In ambito familiare, occorre considerare anche altri valori fondamentali, come:
- La lealtà coniugale,
- L’assistenza materiale,
- Il superiore interesse dei figli.
Secondo la giurisprudenza, il vincolo matrimoniale comporta un “affievolimento della sfera di riservatezza” (Trib. Roma, 30.03.2016). Di conseguenza:
- La scoperta di messaggi su un cellulare lasciato incustodito,
- O di e-mail, chat e immagini presenti su un pc familiare senza password, non può essere considerata illecita.
Prove illecite e valutazione del giudice
Le prove illecitamente acquisite sono oggi liberamente valutabili dal giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c., ma il giudice deve effettuare un bilanciamento tra:
- Il diritto alla difesa,
- La tutela della privacy,
- I valori familiari in gioco.