L’avvocato d’ufficio: dalle serie cult alla realtà.

In questo articolo viene fatta chiarezza sulla figura dell’avvocato d’ufficio e sul patrocinio a spese dello stato: due falsi amici.

Se avete visto “Perry Mason”, “Law & Order”, “Sleepers” o “La parola ai giurati”, allora, molto probabilmente vi siete fatti un’idea sbagliata dell’avvocato d’ufficio!

Se, infatti, negli Stati Uniti l’avvocato d’ufficio è stipendiato dallo Stato con la sola funzione di assistere i clienti che hanno diritto ad una difesa gratuita, in Italia la difesa d’ufficio ed il patrocinio a spese dello Stato sono tra loro del tutto indipendenti.

Avvocato d'ufficio

Chi è e cosa fa l’avvocato d’ufficio in Italia.

La difesa d’ufficio è un istituto esclusivo del diritto penale. L’indagato e l’imputato devono necessariamente essere assistiti da un avvocato a prescindere dal reddito: l’autorità giudiziaria, e talvolta la polizia giudiziaria, designa un difensore d’ufficio al soggetto privo di un avvocato di fiducia. 

L’avvocato d’ufficio è, quindi, il difensore non designato dall’assistito ma scelto in un elenco di avvocati predisposto dal Consiglio dell’Ordine territorialmente competente, in occasione del compimento del primo atto che, nell’ambito di un procedimento penale, richiede la necessaria assistenza dell’indagato o dell’imputato da parte di un difensore.

Selezione e criteri di incarico per l’avvocato d’ufficio.

È compito del Consiglio dell’Ordine predisporre l’elenco dei professionisti iscritti all’albo nominabili quali difensori d’ufficio, in quanto in possesso dei requisiti richiesti dalla legge.

Il professionista iscritto all’elenco deve, peraltro, annualmente, presentare al Consiglio dell’Ordine di appartenenza la documentazione attestante l’esercizio continuativo di attività nel settore penale. In mancanza, il professionista sarà cancellato dall’elenco nazionale.

La scelta dell’uno o dell’altro avvocato d’ufficio è affidata alla sorte e rispetta un criterio di rotazione automatico.

Una volta nominato, il difensore d’ufficio è obbligato ad assumere l’incarico e ad assistere l’indagato o l’imputato sino alla definizione del procedimento ovvero sino alla nomina di altro difensore.

Naturalmente, ancorché intervenuta la nomina di un avvocato d’ufficio, l’indagato o l’imputato possono in qualunque momento nominare un difensore di fiducia che subentrerà nella difesa, così revocando ogni incarico all’avvocato d’ufficio.

L’avvocato d’ufficio deve essere retribuito.

Preme però evidenziare che l’avvocato d’ufficio deve essere retribuito, per le proprie attività, al pari di un avvocato di fiducia. 

L’avvocato d’ufficio in Italia, lo si ribadisce, non è l’avvocato dei non abbienti, ma l’avvocato dell’indagato e dell’imputato privo di un difensore di fiducia, indipendentemente dal reddito del soggetto coinvolto in un procedimento penale.

L’assistito, quindi, è tenuto per legge a pagare l’avvocato d’ufficio, anche se assegnato dallo Stato e frutto di scelta, esattamente al pari di un avvocato di fiducia per le attività dallo stesso compiute. 

Non è dovuto alcun compenso solo allorquando la nomina di un difensore di fiducia interviene prima che l’avvocato d’ufficio abbia posto in essere qualsivoglia attività.

Quando le spese legali sono a carico dello Stato.

L’assistito non abbiente, ossia titolare di un reddito inferiore ai limiti previsti dalla legge, può chiedere di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato mediante apposita istanza.

In tal caso l’indagato o l’imputato può evitare di pagare il difensore sia d’ufficio sia di fiducia, sempre che il difensore scelto sia iscritto alle liste degli avvocati ammessi ad esercitare in gratuito patrocinio.

Si badi, l’elenco degli avvocati d’ufficio e l’elenco degli avvocati ammessi ad esercitare in gratuito patrocinio sono due albi diversi e distinti e non necessariamente uno stesso professionista è iscritto in entrambi.

In caso di ammissione al Patrocinio a spese dello Stato, tutte le spese legali sono a carico dello Stato e nessun compenso potrà essere richiesto dal difensore direttamente al proprio assistito.

Come accedere al Patrocinio a spese dello Stato.

Per poter accedere al Patrocinio a spese dello Stato il soggetto che lo richiede deve avere un reddito imponibile a fini Irpef risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi non superiore ad € 11.493,82. 

Se l’interessato convive con il coniuge o altri familiari, il reddito, ai fini della concessione del beneficio, è costituito dalla somma dei redditi di tutti i componenti la famiglia. 

Solo nell’ambito penale il limite di reddito è elevato di € 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi. 

Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.

L’istanza per fare richiesta del patrocinio a spese dello stato.

Nell’ambito di un procedimento penale, l’istanza deve essere presentata alla cancelleria del magistrato innanzi al quale pende il procedimento e deve contenere: 

  • le generalità del richiedente e dei componenti della famiglia anagrafica tra cui il codice fiscale;
  • la documentazione fiscale, ovvero una dichiarazione sostitutiva di certificazione con specifica indicazione del reddito complessivo del nucleo familiare. Il reddito risultante dal modello ISEE non è idoneo a rappresentare la situazione economica dell’istante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
  • l’impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno dalla data di presentazione dell’istanza o dalla eventuale precedente comunicazione di variazione;
  • Il cittadino di Stati extra UE è tenuto altresì a depositare una certificazione dell’autorità consolare che attesti la sussistenza o meno di redditi prodotti all’estero.

Verifiche e sanzioni.

Le complessive condizioni reddituali dichiarate nell’istanza sono oggetto di valutazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Le dichiarazioni false o incomplete, oltre all’omessa comunicazione delle variazioni di reddito, determinano la revoca del beneficio (in caso di già intervenuta ammissione) e sono punite con la pena della reclusione e con la multa, sempre che i redditi effettivi superino il limite di legge.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 14723/2020, ha precisato che la falsità o l’incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione non comporta la revoca dell’ammissione al beneficio, qualora i redditi effettivi non superino il limite di legge.

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